Bohemian, il profumo sulla scia dell’oro
Invisibile e presente, simbolo di seduzione e sogno. Una pelle profumata attrae e provoca emozioni. I profumi si connettono con le nostre esperienze e spesso inconsciamente ci piacciono fragranze che ci riportano a momenti di vita vissuta, che fanno parte della nostra storia personale. Accontentare ogni sensazione non è facile, ma la combinazione di più note può accendere un ricordo e questo basta per innamorarsi di una fragranza.
È quello che è successo a me con il profumo di Francesca dell’Oro “Need a Name” che guarda caso è stato nominato tra le migliori fragranze 2020 dalla redazione @cafleurebon, un magazine americano.
I profumi di Francesca dell’Oro sono gioielli e a dirla tutto dovremmo avere una boccetta diversa per ogni giorno della settimana. I suoi flaconi sembrano prismi capaci di irradiare luce, un richiamo all’arte e alle opere cubiste di Tamara de Lempicka, prototipo di donna moderna, colta ed emancipata.
Una parola per descrivere le sue fragranze: seduzione.
Scrivere un profumo è un’arte paragonabile alla tela di un pittore o a un compositore di musica. Ci si deve immaginare il risultato prima che il naso ne senta le sue note. È corretto?
Difficilmente pongo limiti e confini precisi a quello che sarà poi la fragranza che analizzo durante i vari step di creazione. Quando consegno il concept a uno o più profumieri che lavorano simultaneamente allo stesso progetto, sono prima di tutto molto curiosa nello scoprire la loro interpretazione e mi piace essere sorpresa e colpita, aprendo le porte a nuovi scenari. Quanto più è definita l’immagine di quello che vorrei fosse tradotto in composizione olfattiva, tanto più è chiaro il concept finale che accompagnerà il lancio della fragranza.
Nel caso di S’Il Vous Play e Need a Name il concept si è mosso in modo molto preciso su due figure estremamente delineate del flâneur e del bohème, concetti molto cari allo scrittore Baudelaire, ma che in qualche modo volevo trasportare in una dimensione più moderna e contemporanea. Il bohème è un ribelle, un anarchico, una persona che rifugge le regole e che non si conforma alle mode e alla massa. Il flâneur è un concetto più sottile e ironico, rappresenta la figura di un personaggio che osserva e che ama essere osservato. Sulla scia di questa identità ho voluto creare una fragranza che invitasse al gioco, ad una seduttività irriverente, ad un concetto di trasporto emotivo dalla natura gioviale e scherzosa, come il dandy di Oscar Wild.
Il profumiere è una professione basata sulla conoscenza scientifica, chimica ed estetica. Quanto conta però la memoria olfattiva?
La memoria olfattiva è fondamentale, sia per i profumieri, sia per i direttori artistici; è fondamentale anche per i fruitori finali poiché nel momento in cui io, attraverso la mia creazione olfattiva, riesco ad aprire il cassettino della memoria della persona che indosserà la fragranza, dando modo di provare e vivere sensazioni assolutamente personali, ritengo di aver ottenuto una grande conquista. È bello quando le memorie si sovrappongono, si legano, risultando complici anche tra due identità come quella del naso e del cliente finale, che non si conoscono, che non vivono una complicità quotidiana, e trovo che questo tipo di legame e di sensibilità che il profumo è in grado di costruire sia ancora oggi uno degli elementi affascinanti che motiva e spinge il mio slancio creativo.
Ci sono più di 3000 note riconosciute, ho letto che un profumiere ne utilizza solo il 10%, come si spiega lo spreco delle altre 2700?
Qui mi sento di smentirla per il semplice fatto che le 3000 materie prime conosciute sono labili: molto spesso anche a causa delle normative IFRA, e io nelle mie fragranze tendo a precisare che fondo insieme materie prime naturali e sintetiche, tolgono, aggiungono, ridefiniscono e ristrutturano anche delle materie prime che non possono più essere utilizzate per motivi etici, come fu per esempio per il Musk che all’epoca veniva estratto dalle ghiandole fecali dell’animale per dare una nota formativa, di scheletro alle fragranze. Non vendo quindi uno spreco ma una continua evoluzione e una rivisitazione di materie prime del passato che tornano in auge per poi lasciare posto ad una nuova innovazione. In realtà è un mondo che si rinnova. Ciò non toglie che un profumiere alla stessa stregua di un compositore, di uno scrittore, ha delle corsie preferenziali e la sua vena creativa lo porta ad amplificare una determinata melodia olfattiva, privilegiando per esempio note di fondo, oppure avendo un amore particolare per gli esperidi. All’interno delle proprie fragranze può tendere a privilegiare spesso l’uso di precise materie prime, perché le ama in maniera autonoma e profonda, andando a definire una sua cifra stilistica e timbro olfattivo. Oggi come oggi, fortunatamente i nasi e profumieri con cui ho avuto la possibilità di collaborare sono estremamente versatili, molto attenti e fini conoscitori di quello che la tecnologia ha permesso di aggiungere alla palette olfattiva.
Immagino che il suo “naso” sia in continuo fermento. L’esigenza di creare una fragranza nuova, di far uscire l’ultima alchimia quando avviene?
In realtà è un processo a moto continuo. Molto spesso mentre sto finendo di elaborare un progetto, per il quale la fragranza è già definita, il pantonario del pack è già stabilito, ho già scelto i nomi e quindi sto lavorando sulle cartelle stampa del profumo, sono già in fase creativa e a volte anche su uno-due o tre differenti progetti che vengono sviluppati in contemporanea. Questo non perché io abbia l’esigenza di far uscire costantemente nuove fragranze, a volte esistono tempi più lunghi tra il lancio di due profumi, ma proprio perché sono tantissimi gli stimoli che mi arrivano: possono essere anche molto banali, basati sul quotidiano, oppure possono essere frutto di qualcosa di particolare che avviene in modo totalmente inedito e sorprendente. Se però in quel momento sento l’esigenza di convogliare questo tipo di stimolo creativo all’interno di un profumo, imbottigliando una sensazione o emozione per cercare di farla vivere al pubblico FD’O, allora assecondo questo fermento e lascio si che il mio naso non stia mai in stasi.
Qual è il suo capolavoro olfattivo, il profumo che Francesca dell’Oro ha sempre con sé?
Io li amo tutti, è innegabile. Sono figli della stessa madre però quello che io indosso sempre indipendentemente dal fatto che poi lo contamini con almeno altri due FD’O è Fleurdenya. A me piace avere una base di due, a volte tre FD’O che si muovano sulle parti del corpo in maniera differente. Prima ancora che si parlasse del concetto di sovrapposizione o layering olfattivo, io già mi accingevo a sperimentare in maniera del tutto naturale, rendendomi conto che davvero ogni parte del corpo fa vivere le fragranze in maniera differente. Inoltre le ultime gocce di profumo mi piacciono appoggiate, soprattutto in pieno inverno, sugli accessori come cappelli di lana o su una avvolgente sciarpa di cachemire. Quindi fragranze anche non sono necessariamente appoggiate su pelle, dove cerco la sfera più intima con il profumo, ma tante piccole contaminazioni studiate ad arte che creino una personalità ancora più distintiva. Con i miei profumi ovviamente mi sento di farlo in totale libertà perché ne conosco le composizioni, le qualità; so quali materie prime si esaltano e possono creare storie olfattive avvincenti. Il trasporto fiorito e ricco di Fleurdenya, raffinatissimo ed elegante e poco invasivo, lo rende un profumo evergreen, adatto a qualsiasi tipo di donna. Una seduttivà sinuosa che mi far star bene per tutta la giornata.
By Stefania Zilio