JAMES BOND
THEME
Sean Connery, Roger Moore, Pierce Brosnan fino a Daniel Craig, ultima incarnazione della spia inglese più elegante di sempre che si sono fatti carico dei diversi scenari politici, storici, sociologici e di gender messi in campo di volta in volta dalla saga di Ian Fleming. Dalla letteratura allo schermo, passando per i videogiochi, l’enogastronomia, le riviste di gossip e la semiotica, la fenomenologia di James Bond viene ricostruita attraverso i saggi di studiosi che si interrogano sull’attualità di un mito che continua a rilanciarsi senza perdere in grinta e smalto, alternando vodka martini (agitato, non mescolato) e birra, mai rinunciando ad avere una Bond-girl mozzafiato accanto a sè e un “James Bond Theme” composto nel 1962 dall’inglese Monty Norman, che azzecca con questo tema l’esempio più assoluto, inossidabile e immediato di associazione fra un “character” e un leit-motiv musicale nell’intera storia della musica cinematografica. Sui “Main Titles” della serie 007 si potrebbe scrivere un trattato a parte, specie finchè a concepirli e a realizzarli (sino a License to Kill) fu un genio della grafica e del design come il newyorkese Maurice Binder, insieme a Saul Bass il massimo titolista del cinema di ogni tempo, che lavorava soprattutto sulla mescolanza certosina, artigianale e fortemente evocativa di silhouettes umane su sfondi onirici, puntando particolarmente sull’elemento erotico e sul corpo femminile, ma anche sull’evocazione di una violenza raffinata, crudelmente sottesa. Si declinano così fin dall’incipit le due valenze principali dell’universo bondiano, Eros e Tanatos, la seduzione e la minaccia, l’eccitazione e il pericolo, attraverso un’ elementarietà, quasi una primitività di sensazioni che si accompagna però ad un’estrema ricercatezza linguistica. L’unicum dei titoli grafici con i Title Song, ovviamente, è parte integrante di questa complessa costruzione mitopoietica.
L’ERA ”CUBBY” DI SALTZMAN E BROCCOLI
E, a partire da From Russia with love, da quando cioè l’inglese John Barry potè mettere mano in prima persona sulle partiture, canzoni comprese, l’insieme di questi due elementi ha fornito risultati rimasti indimenticati per tutti gli anni Sessanta. Al di là del riconoscimento, poi indiscusso e da allora ribadito ad ogni uscita, del merito autoriale iniziale di Norman, non v’è dubbio che la qualità, l’inconfondibile imprinting sonoro del Theme sia dovuto alla sapienza strumentale dell’autore di “La mia Africa”, il quale veniva da composite esperienze pop-rock nella Swinging London, ma era nel contempo un musicista di solidissima formazione sinfonica e, come dimostrerà proprio nella serie 007, di acuta, irrequieta sensibilità classica. Cos’è James Bond Theme, innanzitutto, e in cosa risiede la sua formidabile struttura, musicale e drammaturgica, che ne ha fatto una specie di refrain della postmodernità, un motto sonoro di fulminea, inoppugnabile referenzialità? Una mappatura, o anche solo una semplice ricognizione, di ciò che ha rappresentato l’universo 007 dal punto di vista degli apparati sonori, non può non partire dal confronto con un doppio nucleo centrale: la cui prima parte è costituita dal James Bond Theme, la seconda parte trova invece la propria ragion d’essere nella natura squisitamente sperimentale, avveniristica, laboratoriale che, dal punto di vista dell’utilizzo del sonoro, caratterizza l’intera serie di 007, ma in particolar modo tutta la sua prima parte, diciamo grosso modo coincidente con l’era “Cubby” di Harry Saltzman e Albert Broccoli. Da un lato estrema riconoscibilità, attraverso un “logo”, anche visivo, mantenuto intatto per quasi mezzo secolo; e dall’altro ricerca continua, attraverso soluzioni mutevoli e “mutanti”, di un sound che “suonasse” sempre un passo più avanti della produzione parallela e corrente. Intorno a questi due poli, continuamente in movimento, a volte anche sino a sovrapporsi si sviluppa la ricca storia dei soundtrack e degli score zerozerosettiani i quali, malgrado la perdita di omogeneità e il carattere frammentario, dispersivo acquisito negli ultimi anni, dopo l’era John Barry, costituiscono ancor oggi un corpus creativo straordinariamente unitario e compatto. Per quasi un quarto di secolo, sia pure con alcune interruzioni, Barry è infatti l’architetto sonoro dei film della serie, l’inventore continuo di una miriade di soluzioni, di frammenti, di pagine, di temi, di sfondi, di effetti senza i quali quei film medesimi oggi non sarebbero concepibili e il personaggio di 007 nemmeno. L’associazione James Bond-Connery-John Barry somiglia ad un ulteriore monolitico unicum comunicativo al quale va aggiunto anche un altro elemento forte di referenzialità: la scelta, per i cantanti dei titoli, di voci molto particolari, caratterizzate, e spesso con grandi pedigree.
La tigre del soul Shirley Bassey, la forza della natura Tom Jones, il tocco quasi belcantistico di Nancy Sinatra, l’ineffabile Louis Armstrong, ma persino la classe di un “crooner” come Matt Monro, afferiscono ad una concezione del title song completamente originale e anomala, anch’essa nettamente diegetica. I testi infatti, inizialmente di parolieri illustri come Don Black, Hal David o Leslie Bricusse, preludono, o si riferiscono, a tratti dei personaggi, delle storie, “the man with the Midas touch”, “his heart is cold”, ammonisce la Bassey in Goldfinger; mentre in Thunderball Tom Jones tuona “every woman he wants, he’ll get “, e siamo nel film dove per la prima volta la figura della Bond-girl si sdoppia nettamente secondo uno schema destinato a ripetersi tra una “buona”, Claudine Auger, e una “cattiva”, Luciana Paluzzi, destinata a soccombere. Barry autorializza musicalmente i mondi di 007 come nessun altro compositore aveva fatto con un genere o un filone o un regista, nО farò mai con altrettanta continuità e ricchezza di titoli. Ma il punto non П questo: nell’era della riproducibilità tecnica moltiplicata sino alla clonazione di fonti e supporti, l’intera saga 007 si offre oggi allo spettatore-ascoltatore anche come oggetto multiforme d’indagine e di approfondimento nelle sue diverse componenti e nei suoi infiniti contributi creativi, di cui John Barry è stato uno dei principali protagonisti. Per il resto, come ci insegna James Bond, il domani non muore mai.
BY MARCO GIUSEPPE TIMELLI